Attraverso questo post si analizzerà una vicenda la quale, ad una prima lettura, potrebbe sembrare uscita da una soap-opera televisiva ma che, nelle vicende di un Tribunale, rappresenta un fenomeno non poi così raro.
Questi i fatti:
Tizio convive con Caia;
Caia dà alla luce un bambino;
Tizio riconosce il “figlio” nato fuori dal matrimonio;
Sempronio, che ha avuto rapporti saltuari con Caia, è convinto di essere il padre.
Quali sono i risvolti legali di una simile situazione?
Quali sono le norme ed i principi giuridici diriferimento?
Come prima suddivisione, è bene distinguere tra:
A) figli nati nel matrimonio;
B) figli nati fuori dal matrimonio.
Nella prima ipotesi trova applicazione l’ art. 231 c.c., ai sensi del quale “Il marito è padre del figlio nato durante il matrimonio”. Ovverosia, fino a prova contraria, si presume che il marito sia padre del figlio nato nel matrimonio, senza che sia necessario alcun formale riconoscimento.
In tal caso, l’ azione di disconoscimento di paternità è disciplinata dall’ art. 243-bis c.c., il cui comma 1 stabilisce che “L’ azione di disconoscimento di paternità del figlio nato nel matrimonio può essere esercitata dal marito, dalla madre e dal figlio medesimo”. Il comma 2 precisa che “Chi esercita l’azione è ammesso a provare che non sussiste rapporto di filiazione tra il figlio e il presunto padre”.
Nella seconda ipotesi (figlio nato fuori dal matrimonio) si rileva, anzitutto, l’ art. 250 c.c., ai sensi del quale “Il figlio naturale può essere riconosciuto, nei modi previsti dall’ articolo 254, dal padre e dalla madre, anche se già uniti in matrimonio con altra persona all’ epoca del concepimento. Il riconoscimento può avvenire tanto congiuntamente quanto separatamente”.
Il menzionato art. 254 c.c. prevede che “Il riconoscimento del figlio nato fuori dal matrimonio è fatto nell’ atto di nascita, oppure con una apposita dichiarazione, posteriore alla nascita o al concepimento, davanti ad un ufficiale dello stato civile o in un atto pubblico o in un testamento, qualunque sia la forma di questo”.
Si annoti, altresì, che l’ art. 256 c.c. sancisce l’ irrevocabilità del riconoscimento, eppure, nonostante tale irrevocabilità, all’ art. 263 c.c. si stabilisce che detto riconoscimento può essere impugnato per difetto di veridicità: sia dallo stesso autore del riconoscimento, sia da colui che è stato riconosciuto; nonché da chiunque vi abbia interesse!
Attuate tali premesse di sistema, torniamo alla vicenda iniziale.
Sempronio, convinto, di essere il padre biologico del bambino, potrà agire in giudizio proprio ai sensi del testé richiamato art. 263 c.c.
E chi dovrà chiamare in giudizio?
Egli dovrà chiamare: il padre al momento così qualificato, la madre; ma anche il bambino; siccome quest’ ultimo è minorenne, ecco che l’ ordinamento esige e prevede che allo stesso bambino sia nominato un curatore speciale tramite il Tribunale (ex art. 247 c.c.).
Quanto appena espresso serve per rimarcare che il difensore di Sempronio, prima di instaurare la causa di disconoscimento, dovrà instaurare tale indispensabile procedura preliminare.
L’ azione in parola si ispira al principio del favor veritatis, perciò Sempronio dovrà fornire una prova certa della falsità della dichiarazione di Tizio, concernente il rapporto di filiazione; chiunque può comprendere che il mezzo probatorio per eccellenza è l’ esame del DNA il quale, però, è ammesso unicamente con il consenso dell’ esaminando.
Sorge quindi spontanea una domanda: se Tizio rifiutasse l’ esame del DNA, quale piega prenderebbe il processo?
La Suprema Corte con la Sentenza n. 18626/2017 ha offerto una chiave di lettura che può ritenersi un caposaldo delle questioni di cui stiamo discutendo; pertanto, sintetizziamo il caso oggetto di tale Sentenza.
Il Tribunale di Ferrara, in primo grado, aveva accolto l’ impugnazione proposta, ex art. 263 c.c., rispetto al riconoscimento effettuato da un “non padre”: il Giudice era giunto a tale conclusione poiché il convenuto aveva rifiutato l’ esame del DNA.
In secondo grado la pronuncia era stata ribaltata, infatti, per la Corte d’ Appello di Bologna, essendo pacifico che la madre aveva intrattenuto rapporti sessuali con entrambi gli uomini, mancava una prova certa secondo cui si potesse affermare che l’autore del riconoscimento NON fosse il padre biologico del bambino.
La vicenda approdava alla Suprema Corte, la quale sanciva la seguente massima “Il rifiuto ingiustificato di sottoporsi ad esame genetico, in presenza di una situazione di incertezza, sul piano probatorio, circa la sussistenza o meno del rapporto di filiazione biologica fra l’autore del riconoscimento ed il figlio, deve essere valutato dal giudice, ex art. 116, co. 2 c.p.c., come decisiva fonte di convincimento. La norma dispone, nello specifico, che il giudice può desumere argomenti di prova dal rifiuto ingiustificato delle parti a consentire le ispezioni che egli ha ordinate”.
E quindi, tornando al nostro caso, qualora, in sede di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità, Tizio rifiutasse l’ esame del DNA, egli attuerebbe un comportamento contrario al principio del favor veritatis; conseguentemente, il Giudice potrebbe desumerne la “mala fede”, accogliendo, così, l’ impugnazione di Caio.
In verità, in questa lotta tra “due padri”, è da verificare quale sia il comportamento della madre; nulla vieta che quest’ ultima sia alleata con il “vero padre” che ha instaurato l’ azione e quindi chieda ovvero manifesti la Sua disponibilità ad un accertamento ovvero ad una comparazione di tre bagagli genetici: il Suo, quello del bambino e quello di Sempronio che rivendica il ruolo di padre, per così arrivare ad un risultato scientifico anche se il padre “formale” rifiutasse la Sua collaborazione.
Senza dilungarsi in elucubrazioni scientifiche, si può affermare che dalla comparazione dei profili genetici, per stabilire la compatibilità ed il calcolo di probabilità della paternità, spesso, quando uno è veramente il padre, si arrivano a verificare percentuali di probabilità pari al 99, 4 % , 99, 7 %, rimarcando che per la scienza la soglia di sicurezza è stabilità intorno al 98%.
A corollario dello spiegato procedimento, allorquando Sempronio otterrà il disconoscimento, risulta ovvio, oseremo dire naturale, che lo stesso eserciti una seconda collegata azione tesa a veder dichiarare che egli stesso è il padre!
Sembra cosa scontata ma, scusandosi anche per una certa ripetizione, è utile e doveroso sottolineare che Sempronio, con la Sua azione, ottiene un disconoscimento di paternità; poi, però, tale Sentenza deve passare in giudicato; soltanto dopo potrà esigere la dichiarazione giudiziale di paternità, affinché il bambino prenda il suo cognome.