ll revenge porn ovvero la pornografia per vendetta, consiste nella distribuzione di foto e/o video di sesso (nella sua più ampia concezione possibile) senza il consenso della persona ripresa. L’esecutore spesso è l’ex partner che nel corso della relazione acquisisce le immagini e successivamente le usa. La fattispecie risulta essere nel novero dei delitti lato sensu di minaccia anche se il più delle volte l’autore agisce per finalità differenti come infamare ed umiliare pubblicamente la vittima.
Tale reato trova espressa disciplina all’interno del nuovo articolo 612-ter del codice penale, introdotto della Legge 69/2019 nota come “Codice Rosso”, la quale si inserisce nel quadro normativo nazionale il cui obiettivo è la prevenzione e la repressione dei reati di violenza contro le donne, intrapreso già da tempo dall’Italia con la ratifica della Convenzione di Istanbul del 2011.
Si tratta di una norma complessa che si articola in due differenti ipotesi disciplinate rispettivamente al primo e al secondo comma.
Il primo comma stabilisce: “salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro 5.000 a euro 15.000”.
Gli elementi di rilievo della norma sono tre:
– primo: l’incipit della norma prevede un rimando all’ipotesi di estorsione, qualora la diffusione di video e/o immagini sessualmente espliciti sia strumentale all’ottenimento di denaro;
– secondo: l’assenza del consenso; ovvero se esistesse un consenso alla divulgazione non ci sarebbe il reato; sembra affermazione banale ma si rifletta sul caso di un consenso poi rinnegato; è chiaro che il difensore non ha vita facile ma lo scopo difensivo verterà proprio sul dimostrare quel “consenso”;
– terzo: non è essenziale aver ripreso o acquisito in diretta le immagini; infatti rientrano nella fattispecie anche quelle situazioni in cui la vittima, prima di essere tale, ha inviato le immagini o i video sessualmente espliciti al “colpevole” (cd. sexting).
Il secondo comma prevede che “la stessa pena si applica a chi, avendo ricevuto o comunque acquisito le immagini o i video di cui al primo comma, li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso delle persone rappresentate al fine di recare nocumento”.
Le differenze rispetto all’ipotesi del primo comma sono due:
– prima: il soggetto attivo della condotta. Il primo comma individua quale autore del fatto colui che ha realizzato o sottratto il materiale; mentre nel secondo comma, autori del reato sono i cd. secondi distributori o condivisori cioè coloro che, avendo ricevuto da altri il materiale sessualmente esplicito, a loro volta lo distribuiscono.
– seconda: l’elemento soggettivo. Nel primo comma è sufficiente il dolo generico, ovvero la coscienza e volontà di realizzare la condotta, nel secondo comma si richiede espressamente il dolo specifico di recare nocumento con la condotta.
Il reato prevede delle circostanze aggravanti:
– comma 3: “la pena è aumentata se i fatti sono commessi dal coniuge anche separato o divorziato o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona ovvero se i fatti sono commessi attraverso strumenti informatici o telematici”.
La prima aggravante riprende fedelmente quanto disposto sia per la violenza sessuale (art. 609-ter co. 5 quater) sia per lo stalking (art. 612-bis co. 2): qualora i fatti siano commessi da determinati soggetti che abbiano (avuto) una qualche relazione sentimentale con la vittima, questi vengono considerati ancor più deplorevoli.
La seconda circostanza in esame fa specifica menzione al caso in cui la diffusione del materiale avvenga attraverso “strumenti informatici o telematici”: stante l’amplissimo uso che la società fa di tali strumenti e la facilità di diffusione grazie ad Internet, è verosimile ritenere che la quasi totalità della casistica riguarderà quindi fattispecie aggravate, relegando l’ambito di applicazione delle fattispecie semplici alle ipotesi residuali di diffusione di foto su supporto cartaceo, volantini o similari.
– comma 4: “la pena è aumentata da un terzo alla metà se i fatti sono commessi in danno di persona in condizione di infermità fisica o psichica o in danno di una donna in stato di gravidanza”.
La procedibilità del reato viene disciplinata dal quinto ed ultimo comma: “il delitto è punito a querela della persona offesa”, ma “la remissione della querela può essere soltanto processuale”.
In concreto, la vittima è tutelata con un “doppio sistema”: da un lato, la previsione di un termine più lungo di 6 mesi (anziché di soli 3) per la presentazione della querela di parte; dall’altro, la possibilità solo processuale della remissione della stessa, con una sorta di controllo più rigido.
Il revenge porn, come si è detto all’inizio, è stato introdotto molto recentemente (2019), prima si usufruiva di altre fattispecie di reato per colmare un “certo vuoto”; per esempio la Suprema Corte nella sentenza 30455/2019 (ovvero prima dell’introduzione dell’art 612-ter c.p.) ha confermato una sentenza di condanna per: diffamazione aggravata, atti persecutori e trattamento illecito dei dati personali, in concorso tra loro, nei confronti di un uomo il quale aveva diffuso in Internet video sessualmente espliciti che ritraevano la ex fidanzata, descrivendola come disposta ad incontri sessuali.