Codice penale – ipotesi di corruzione

Il bene giuridico tutelato dalle norme in tema di corruzione  è il corretto funzionamento ed il prestigio della Pubblica Amministrazione. Trattasi di fattispecie di reato plurisoggettiva a concorso necessario che sussiste quando un privato e un pubblico funzionario si accordano affinché il primo corrisponda al secondo un compenso (non dovuto) per un atto in vario modo attinente alle attribuzioni di quest’ultimo.

I tratti caratteristici dei delitti di corruzione sono quindi :

 il c.d.  pactum sceleris tra il pubblico ufficiale (o l’incaricato di pubblico servizio) ed il privato ( avente ad oggetto il compimento da parte del funzionario pubblico di un atto del suo ufficio o l’esercizio delle funzioni;  di un atto contrario ai suoi doveri d’ufficio oppure il mancato compimento di un atto del suo ufficio )

la natura plurisoggettiva del reato, in cui elemento costitutivo è l’incontro delle volontà delle parti su un piano di parità, al contrario della concussione (art. 317), in cui il pubblico agente agisce in una veste di supremazia rispetto al privato.

La  disamina verte sugli articoli 318 e 319 c.p., anche alla luce delle recentissime modifiche introdotte con la legge 9 gennaio 2019, n. 3.; la c.d. riforma “Spazza corrotti”  che ha operato una precisa scelta  politica : quella di assimilare i reati contro la P.A. (in particolare, quelli commessi da pubblici agenti) ai delitti di criminalità mafiosa o terroristica.

Questo avviene non tanto dal punto di vista della sanzione principale applicata, che rimane inferiore rispetto a quella prevista per il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso,  ma principalmente in materia di accertamento del reato e di trattamento sanzionatorio complessivo (pene accessorie, possibilità di accesso a benefici premiali od a misure alternative alla detenzione nella fase successiva alla condanna). Si nota un irrigidimento da parte del Legislatore, il quale anche sotto sotto il profilo dei mezzi investigativi impiegati  ( un argomento specifico e molto discusso l’uso – e/o l’abuso – delle intercettazioni telefoniche ) ha optato per forme di contrasto e di prevenzione che sin ad oggi erano  state concepite e riservate quasi esclusivamente ai più gravi reati di criminalità organizzata.

A) 318 c.p.

CORRUZIONE PER L’ESERCIZIO DELLA FUNZIONE (c.d. CORRUZIONE IMPROPRIA)

Ai sensi dell’art. 318 c.p. “Il pubblico ufficiale, che, per l’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, indebitamente riceve, per sé o per un terzo, denaro o altra utilità, o ne accetta la promessa, è punito con la reclusione da uno a sei anni”.

La corruzione di cui all’art. 318 c.p. è detta impropria, in quanto avente ad oggetto il compimento di un atto d’ufficio ed è in contrapposizione con la corruzione propria di cui all’articolo 319 c.p.

Si tratta di un reato di mera condotta che si perfeziona alternativamente o con l’accettazione della promessa o con il ricevimento dell’utilità promessa. La condotta viene quindi integrata attraverso un accordo (pactum sceleris) fra il corrotto ed il corruttore,  ovvero quando avviene concretamente la remunerazione con denaro o altra utilità. Prima dell’attuale novella legislativa, la norma è stata interessata dall’art. 1 della l. 6 novembre 2012, n. 190, che ne ha mutato profondamente il testo, nonchè la rubrica.

Nella sua formulazione originaria la norma prevedeva la corruzione c.d. impropria  antecedente e susseguente a seconda che la fattispecie di reato riguardasse un atto da compiersi o già compiuto.

Con la legge 190/2012 e la conseguente riformulazione della norma, tale differenziazione viene meno e si elimina il riferimento al compimento di ATTI, sostituito dal riferimento  all’esercizio delle “funzioni o dei poteri” del pubblico funzionario, permettendo così di perseguire il fenomeno dell’asservimento della pubblica funzione agli interessi privati qualora la dazione del denaro o di altra utilità è correlata alla generica attività, ai generici poteri ed alla generica funzione cui il soggetto qualificato è preposto e non più quindi solo al compimento o all’omissione o al ritardo di uno specifico atto.

L’espressione “esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri” rimanda infatti non solo alle funzioni propriamente amministrative, ma anche a quella giudiziarie e legislative; pertanto, sono compresi ae tutti quei comportamenti, attivi od omissivi, che violano i doveri di fedeltà, imparzialità ed onestà ; doveri esigibili da chi esercita una pubblica funzione.

La l. 9 gennaio 2019, n 3 ha modificato i limiti edittali di pena, innalzando la reclusione, inizialmente prevista in da uno a sei anni, da tre a otto anni. L’inasprimento intende “consentire l’adeguamento della risposta repressiva alla concreta portata offensiva delle condotte riconducibili a tale fattispecie di reato, suscettibili di disvalore anche molto diverso, e armonizzarla…omissis… rispetto al trattamento sanzionatorio previsto per i reati di corruzione propria e in atti giudiziari”.

B) 319 c.p.

CORRUZIONE PER UN ATTO CONTRARIO AI DOVERI D’UFFICIO (C.D. CORRUZIONE PROPRIA)

Ai sensi dell’art. 319 c.p. “Il pubblico ufficiale, che, per omettere o ritardare o per aver omesso o ritardato un atto del suo ufficio, ovvero per compiere o per aver compiuto un atto contrario ai doveri di ufficio, riceve, per sé o per un terzo, denaro od altra utilità, o ne accetta la promessa, è punito con la reclusione da sei a dieci anni.”

La fattispecie in esame è la c.d. corruzione propria, contrapposta alla corruzione impropria di cui all’art. 318.

Per atto contrario ai doveri di ufficio si intende non solamente un atto che violi un obbligo specifico del singolo funzionario, ma anche un atto contrario al generico dovere di fedeltà, segretezza, obbedienza, imparzialità, onestà e vigilanza, con ciò escludendosi dall’area del penalmente rilevante il solo atto contrario al dovere di correttezza. Bene precisare che l’infedeltà del funzionario non deve necessariamente tradursi in un provvedimento formale, essendo sufficiente un qualsivoglia comportamento-materiale.

Siamo di fronte ad un  reato a consumazione frazionata, per cui il reato è effettivamente perfetto e consumato già al momento della promessa, mentre le successive dazioni di denaro, non costituendo post-fatti penalmente irrilevanti, spostano in avanti la consumazione del reato, con vari effetti, quali il decorso posticipato del termine di prescrizione del reato o il possibile sub-ingresso di concorrenti nel reato ex art. 110.

La corruzione propria  si configura quando il denaro o l’altra utilità, o la loro promessa, sono accettati dal pubblico ufficiale o dall’incaricato di un pubblico servizio per omettere o ritardare o per aver omesso o ritardato un atto del proprio ufficio o per compiere o aver compiuto un atto contrario ai doveri di ufficio.

il tentativo di corruzione e l’istigazione alla corruzione di cui all’art. 322 si differenziano per il fatto che quest’ultima fattispecie punisce la volontà di una sola delle parti (pubblico funzionario o privato) a corrompere, mentre la tentata corruzione implica la concorde volontà delle parti di accordarsi, accordo poi non perfezionatosi per cause indipendenti dalla volontà dei contraenti.


Alla luce degli spiegati due articoli, interessante la pronuncia n. 4486 del 2019 (Cassazione Penale, Sez. VI, 29 gennaio 2019 (ud. 11 dicembre 2018), n. 4486), con la quale la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sul rapporto tra corruzione per l’esercizio della funzione (art. 318 c.p.) e corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio (art. 319 c.p.).

Secondo la Suprema Cort a seguito della riformulazione operata dalla Legge 6 novembre 2012, n. 190, il discrimine tra le due ipotesi corruttive è dato dalla progressione criminosa dell’interesse protetto in termini di gravità (che giustifica la diversa risposta punitiva) da una situazione di pericolo (ossia il generico asservimento della funzione di cui all’art. 318 c.p.) ad una fattispecie di danno, in cui si realizza la massima offensività del reato (con l’individuazione di un atto contrario ai doveri d’ufficio di cui all’art. 319 c.p.).

Nella corruzione per l’esercizio della funzione (art. 318 c.p.) la dazione indebita, condizionando la fedeltà ed imparzialità del pubblico ufficiale che si mette genericamente a disposizione del privato, pone in pericolo il corretto svolgimento della pubblica funzione; al contrario, nella corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio (art. 319 c.p.) la dazione, essendo connessa sinallagmaticamente con il compimento di uno specifico atto contrario ai doveri d’ufficio, realizza una concreta lesione del bene giuridico protetto, meritando quindi una pena più severa.