Esercizio abusivo di una professione (art. 348 c.p.)
Ai sensi dell’ art. 348, comma 1 c.p., è penalmente responsabile chiunque eserciti abusivamente una professione per la quale sia richiesta una speciale abilitazione dello Stato.
La disposizione in esame, prevedendo e punendo il delitto di esercizio abusivo di una professione, mira a tutelare l’ interesse pubblico a che determinate attività, particolarmente delicate, vengano svolte unicamente da chi possegga le accertate competenze deontologico-professionali.
Ai fini dell’ integrazione del delitto de quo, si richiede anzitutto l’ elemento dell’ abusività, per tale intendendosi l’ esercizio della professione in mancanza dei requisiti richiesti dalla legge come, ad esempio, l’ inesistenza del titolo di studio, l’ omesso superamento dell’ esame di Stato, la mancata iscrizione al corrispondente albo professionale.
Quanto all’ esercizio della professione, in riferimento al numero di atti da porre in essere per la configurabilità del reato, si distinguono due orientamenti interpretativi:
– secondo l’ interpretazione tradizionale, il delitto avrebbe natura istantanea, non esigendo un’ attività continuata ed organizzata, ma perfezionandosi con il compimento anche di un solo atto proprio della professione abusivamente esercitata;
– secondo un più recente filone interpretativo, invece, la fattispecie criminosa in esame presupporrebbe una condotta connotata da continuità ed organizzazione (ex multis Cass., Sent. n. 6664/2017).
In ogni caso, è bene evidenziare che nessun rilievo scriminante è riconosciuto al consenso prestato dal destinatario all’ esercizio abusivo della professione; poiché l’ interesse tutelato ha carattere pubblico, resta indisponibile.
Ai sensi dell’ art. 348, comma 2 c.p., la condanna comporta:
– la pubblicazione della sentenza;
– la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato;
– qualora il reo eserciti regolarmente un’ altra professione, l’ interdizione da uno a tre anni dalla professione regolarmente esercitata (esempio: l’ odontotecnico che eserciti abusivamente la professione di odontoiatra, non potrà così fare neppure l’odontotecnico per il periodo comminato).
L’ art. 348, comma 3 c.p. contempla un’ aggravante ad effetto speciale che va a colpire il professionista il quale ha determinato altri a commettere il reato ovvero il professionista che ha diretto l’ attività delle persone che sono concorse nel reato medesimo.
In termini sanzionatori: la pena base è la reclusione da sei mesi a tre anni e la multa da euro 10.000 ad euro 50.000; nell’ ipotesi aggravata, la reclusione da uno a cinque anni e la multa da euro 15.000 ad euro 75.000.
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Il binomio odontoiatra-odontotecnico
Cosa distingue l’ odontoiatra dall’ odontotecnico? Quando vi è esercizio abusivo?
Ai sensi del D.P.R. n. 135/1980, al fine di esercitare la professione di odontoiatra occorre conseguire una laurea magistrale a ciclo unico in odontoiatria e protesi dentaria.
È appena il caso di evidenziare che, per effetto del recentissimo Ddl Manfredi, la stessa è divenuta abilitante sicché, per iscriversi all’ apposito albo professionale, non è più necessario superare l’ esame di Stato.
Nondimeno, possono esercitare la professione di odontoiatra altresì:
– i laureati in medicina e chirurgia prima dell’ emanazione del D.P.R. n. 135/1980;
– i laureati in medicina e chirurgia dopo l’ emanazione del D.P.R. n. 135/1980, purché specializzati in odontostomatologia.
L’ odontotecnico, invece, ha un diploma di istruzione secondaria di secondo grado che, superato l’ esame di abilitazione, gli consente di esercitare la professione.
Il primo è un medico che cura le patologie del cavo orale attraverso la prevenzione, la diagnosi e la terapia medico-chirurgica.
Il secondo è un tecnico che progetta e realizza protesi dentarie ed apparecchi ortodontici, sulla base delle impronte dentali e delle radiografie fornite dall’ odontoiatra; non può in alcun modo intervenire nella bocca del paziente, pena l’ integrazione del delitto di esercizio abusivo della professione di odontoiatra.
Il binomio fisioterapista-massofisioterapista
In base all’ art. 1, comma 1 del D.M. n. 741/1994, il fisioterapista è il professionista sanitario, in possesso della laurea triennale abilitante, che svolge in via autonoma o in collaborazione con altre figure sanitarie gli interventi di prevenzione, cura e riabilitazione nelle aree della motricità, delle funzioni corticali superiori e di quelle viscerali conseguenti a eventi patologici, a varia eziologia, congenita od acquisita.
Il massofisioterapista è un operatore ausiliario di area sanitaria che esegue, nel rispetto di una diagnosi medica e della correlata prescrizione, trattamenti massoterapici e cioè fondati sul massaggio; fatto salvo quanto si preciserà di seguito, in tema di equiparazione dei titoli.
Rispetto a queste due ben distinte figure, sussiste una rilevante eccezione collegata al 1999: anno in cui è stata introdotta la laurea triennale in fisioterapia abilitante alla professione sanitaria di fisioterapista. In particolare, il massofisioterapista con diploma triennale, formatosi entro il 17.3.1999, gode dell’ equipollenza con la laurea triennale in fisioterapia. Non solo, poiché prima del 1999 era possibile diventare massofisioterapista anche con un diverso “corso biennale”, a dimostrazione di come era vaga la legislazione del tempo, il massofisioterapista con diploma biennale poteva chiedere alla Regione ovvero alla Provincia Autonoma il riconoscimento dell’ equivalenza.
Conclusione: in un caso equiparazione automatica, nell’ altro tramite domanda.
Si è detto che, ex art. 1, comma 1 del D.M. n. 741/1994, il fisioterapista opera tanto in via autonoma quanto in collaborazione con altre figure sanitarie.
Il comma 2 stabilisce, poi, che lo stesso agisce in riferimento alla diagnosi ed alla prescrizione del medico. Tale ultima disposizione non significa, come taluni vorrebbero affermare, che il fisioterapista esercita esclusivamente sulla base di una diagnosi medica e della correlata prescrizione; se così fosse, infatti, si porrebbe in netto contrasto con il precedente comma 1.
È bene richiamare, in proposito, tre norme cardine del Codice Deontologico dei Fisioterapisti:
– Art. 12, comma 1 “Il Fisioterapista ha la responsabilità diretta delle procedure diagnostiche e terapeutiche adottate. Egli si impegna a ricercare la migliore efficacia, appropriatezza e qualità dei percorsi di cura e riabilitazione, promuovendo l’ uso appropriato delle risorse e la sostenibilità delle cure”.
– Art. 13 “Il Fisioterapista svolge la sua attività professionale in via autonoma o in collaborazione con altri professionisti della salute.
Nel caso di attività svolta in collaborazione con il medico, qualora risultino valutazioni discordanti, variazioni del quadro clinico e/o risposte non coerenti durante il trattamento, il Fisioterapista, in accordo con la persona assistita, informa il medico curante e si attiva per fornire allo stesso elementi utili sia per un eventuale approfondimento diagnostico, che per la definizione di un più appropriato programma terapeutico”.
– Art. 14 “Il Fisioterapista effettua la valutazione fisioterapica attraverso l’ anamnesi, la valutazione clinico-funzionale e l’ analisi della documentazione clinica prodotta dalla persona assistita.
La diagnosi fisioterapica, o una sua coerente ipotesi, costituisce il risultato del processo di ragionamento clinico ed è preliminare all’ intervento fisioterapico.
Nel caso in cui il processo diagnostico sia insufficiente o nel caso in cui si evidenzino dati che vanno al di là delle proprie conoscenze o competenze, il Fisioterapista inviterà la persona assistita ad effettuare ulteriori approfondimenti”.
Attuate tali premesse, inevitabilmente articolate, sottolineato che esisterebbero ulteriori considerazioni tra “pubblico e privato”, è chiara l’ enorme differenza sussistente tra fisioterapista e massofisioterapista.
Quest’ ultimo, a differenza del primo, è privo di qualsivoglia autonomia, potendo agire unicamente entro i precisi limiti stabiliti da una diagnosi medica e dalla correlata prescrizione; in caso contrario, la prevalente giurisprudenza ritiene integrato il delitto di esercizio abusivo della professione di fisioterapista (ex multis Cass., Sent. n. 16399/2018).