GUIDA AL PATROCINIO A SPESE DELLO STATO

Tramite questo post lo Studio illustra le caratteristiche dell’istituto, il settore di applicazione e le conseguenze che derivano dall’aver dichiarato il falso od omesso alcune circostanze per ottenere il beneficio in questione.

Il patrocinio a spese dello Stato è previsto espressamente dall’art. 24 della Costituzione e disciplinato dal DPR n. 115/2002 (artt. 76 e sgg.) e concede ai cittadini italiani non abbienti (ma anche ad altri, come vedremo più avanti) la difesa nel processo civile, penale, amministrativo e tributario (salvo qualche eccezione). In concreto significa che l’avvocato e gli eventuali consulenti o periti di parte non sono pagati dal cliente bensì dallo Stato e colui che si rivolge alla Giustizia è esentato dalle spese che normalmente sono esborsate per una certa procedura.

L’ammissione al patrocinio è valida per ogni grado e ogni fase del processo e per tutte le eventuali procedure ad esso connesso; ma è corretto fare subito  una precisazione: nel processo civile, amministrativo o tributario se si risulta soccombenti, non è possibile proporre impugnazione avvalendosi della “precedente” ammissione, a meno che non si tratti dell’azione di risarcimento instaurata nel processo penale.

Sono abilitati alla domanda:

– cittadini italiani o di uno stato membro dell’UE;

– cittadini stranieri con regolare permesso di soggiorno o che intendono impugnare un provvedimento di espulsione o decisioni legate alle domande di asilo, protezione o revoca dello status di rifugiato;

– apolidi con residenza in Italia;

– enti o associazioni senza scopo di lucro, che non esercitano attività economica.

Sono esclusi:

– le persone giuridiche;

– l’indagato, l’imputato o il condannato per reati commessi in violazione delle norme volte a reprimere l’evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto;

– coloro che sono coinvolti in cause per cessione di crediti e ragioni altrui;

– i condannati con sentenza definitiva per reati di associazione mafiosa o connessi al traffico di tabacchi e stupefacenti.

Non si può non segnalare una specifica anomalia del sistema: nel processo penale, imputati/indagati di delitti, non possono essere ammessi al beneficio se desiderano più di un difensore, mentre in materia di contravvenzioni la pluralità di difensori è ammessa. Sia chiaro non è una distinzione che sovverte il sistema, ma è certamente una distinzione singolare.

Tutti i soggetti per essere ammessi al beneficio, devono avere un reddito annuale non superiore ad euro 11.528,41; per reddito annuale deve intendersi la somma dei redditi annuali di tutti i componenti il nucleo familiare, ovviamente compreso il richiedente; tale valore nel processo penale (e solo in esso) è aumentato di euro 1032,91 per ogni familiare convivente.

Attenzione, ci sono casi in cui il parametro economico scompare e si realizza un’ammissione ex lege al patrocinio, una sorta di maggior tutela per taluni soggetti in certe vicende:

la persona offesa destinataria di: maltrattamenti, stalking, mutilazione degli organi genitali femminili, violenza sessuale; classiche situazioni, purtroppo, ben note nelle cronache giudiziarie;

il minore vittima di delitti contro la personalità individuale (artt. 600, 600 bis, 600 ter, 600 quinquies, 601, 602, 609 quinquies e 609 undecies);

il minore straniero quando risulta nel territorio Italiano “non accompagnato”;

i figli minori o maggiorenni non autosufficienti orfani di un genitore per mano dell’altro genitore.

L’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato va presentata:

– nel processo penale al Giudice procedente;

– in sede civile al Consiglio dell’ordine degli Avvocati in cui ha sede il Giudice competente;

– per i processi amministrativi  al TAR competente ;

– per quelli tributari alla Commissione Tributaria provinciale o Regionale.

In tutti i casi, la domanda deve contenere, a pena d’inammissibilità, ai sensi dall’art. 79 del citato DPR:

– le generalità dell’interessato e dei componenti della famiglia anagrafica, con i rispettivi codici fiscali;

– la spiegazione della vicenda e quindi l’indicazione della materia per cui si deve agire nel settore civile; mentre nel processo penale si devono offrire i riferimenti del procedimento;

– una dichiarazione sostitutiva di certificazione da parte dell’interessato attestante la sussistenza delle condizioni di reddito previste per l’ammissione (per i redditi prodotti all’estero, il cittadino straniero correda l’istanza con una certificazione dell’autorità consolare competente, che attesta la veridicità di quanto in essa indicato o con una sua autocertificazione);

– l’impegno a comunicare, ogni anno, fino a che il processo non sia definito, le variazioni rilevanti dei limiti di reddito.

Bene aggiungere due precisazioni:

1) chiunque voglia avvalersi di questo beneficio non può scegliere un avvocato qualsiasi, bensì uno tra quelli inseriti in uno specifico Albo tenuto dal Consiglio dell’Ordine ; di fatto la consultazione è possibile tramite internet.

2) nel caso in cui venga rigettata l’istanza con cui si chiede l’ammissione al patrocinio, è possibile domandare che tale istanza venga “rivalutata” . Infatti  nel caso di processo penale, entro 20 giorni dalla comunicazione del rigetto si può presentare un ricorso al Presidente del Tribunale (o della Corte d’Appello); nel caso invece di un processo civile, l’istanza rigettata dal Consiglio può essere ripresentata al Giudice competente per il giudizio.

Un diverso discorso su cui prestare molta attenzione è l’art. 95 del DPR n. 115/2002! Tale articolo prevede sanzioni: sia per aver dichiarato il falso, sia per aver omesso qualcosa nei documenti allegati alla domanda. Tali sanzioni esistono come riflesso del falso, come fatto autonomo e sono aggravate se è stata ottenuta l’ammissione.

In aggiunta a tale principio è bene annotare che la condanna sul punto comporta la revoca del patrocinio con efficacia retroattiva, ciò significa che colui che ha beneficiato del patrocinio dovrà rimborsare  lo Stato delle somme corrisposte all’avvocato ed agli eventuali consulenti di parte; la revoca del beneficio è prevista anche nei casi tassativi indicati dall’art. 112 del DPR n. 115/2002.

Negli anni la giurisprudenza è sempre stata divisa sugli effetti della detta falsità ed dell’incompletezza delle dichiarazioni dell’istante; il punto cruciale era capire se nel dichiarare un reddito inferiore (ad esempio 5.000 euro) a quello effettivo (es. 7.000 euro) o omettere alcuni redditi, mantenendosi però sempre al disotto della soglia massima indicata (11.528,48), si rischiava d’incorrere nella revoca del beneficio!

Le Sezioni Unite si sono espresse di recente sul punto con la Sentenza n. 14723/2020, secondo cui “la falsità o l’incompletezza della dichiarazione sostitutiva di certificazione prevista dall’art. 79, comma 1, lett. c) D.P.R. n. 115 del 2002, qualora i redditi effettivi non superino il limite di legge, non comporta la revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, che può essere disposta solo nelle ipotesi espressamente disciplinate dagli artt. 95 e 112 D.P.R. n. 115 del 2002.”.

In concreto, se l’istante, “al netto” delle falsità o delle mancanze, è comunque al disotto della spiegata soglia economica, non ci sarebbero motivi per revocare tale ammissione.

Diversamente, ed è ovvio, se tali comportamenti avevano lo scopo di nascondere redditi superiori a quelli previsti dalla Legge, si rientra a tutti gli effetti nell’ipotesi disciplinata dall’art. 95 con le rispettive sanzioni.