Vademecum sulla responsabilità extracontrattuale: dall’ art. 2043 c.c. all’ onere della prova

Il presente post è redatto per offrire al comune Lettore una disamina sull’ argomento, dovendo sottolineare, per giusta completezza, che molteplici sono gli studi specifici, anche alquanto articolati con lo scopo di offrire al danneggiato il miglior risarcimento nell’ ambito del sistema, anche correndo il rischio di offrire il fianco a nuove figure di danno, che quasi sembrano favorire una speculazione.
Ai sensi dell’ art. 2043 c.c.Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”.
Questa è la norma che fa nascere il concetto di responsabilità extracontrattuale o aquiliana che sussiste quando all’ origine manca un rapporto obbligatorio tra danneggiante e danneggiato.

Il fatto doloso o colposo

Il fatto è una condotta umana attiva od omissiva; il dolo o la colpa identificano l’ elemento soggettivo dell’ illecito civile e la loro definizione è mutuata dal diritto penale (art. 43 c.p.).
Il dolo, da non confondersi con gli artifizi e raggiri di cui agli artt. 1439 e 1440 c.c., sussiste quando l’ evento dannoso è dall’ agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione; la colpa sussiste quando l’ evento dannoso, anche se preveduto, non è voluto dall’ agente e si verifica a causa di negligenza, imprudenza od imperizia ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline.
È bene precisare che ex art. 2046 c.c. “Non risponde delle conseguenze del fatto dannoso chi non aveva la capacità d’ intendere o di volere al momento in cui lo ha commesso, a meno che lo stato d’ incapacità derivi da sua colpa”.
I concetti di capacità d’ intendere e di volere sono mutuati dal diritto penale, secondo cui la capacità d’ intendere è l’ attitudine di un soggetto a rendersi conto della realtà e del valore sociale della propria condotta, la capacità di volere, invece, è l’ attitudine di un soggetto a controllare i propri stimoli ed impulsi.

Il danno ingiusto

Il danno deve essere ingiusto e cioè tradursi nella lesione di una situazione giuridica soggettiva tutelata dall’ ordinamento (divieto di neminem laedere). La condotta che lo cagiona, quindi, è definita contra ius o antigiuridica.
Al riguardo è bene precisare che, ai fini della responsabilità extracontrattuale, il concetto di antigiuridicità è più ampio rispetto a quello teorizzato in tema di responsabilità penale.
Ai fini della responsabilità aquiliana, infatti, si definisce contra ius o antigiuridica qualsivoglia condotta che leda una situazione giuridica soggettiva tutelata dall’ ordinamento; in tema di responsabilità penale, invece, è antigiuridica la condotta che contrasta con una determinata norma penale.
Ad ogni modo, trovano applicazione anche in materia di responsabilità extracontrattuale le cause di giustificazione previste dagli artt. 50, 51, 52 e 54 c.p.

Il danno patrimoniale e quello non patrimoniale

Il danno patrimoniale consiste nell’ alterazione negativa della situazione patrimoniale del soggetto leso, rispetto a quella che si sarebbe avuta in assenza della condotta antigiuridica.
Il danno patrimoniale – come reso evidente dal rinvio, operato dall’ art. 2056, comma 1 c.c., al disposto dell’ art. 1223 c.c. – comprende:
danno emergente, ovverosia la diminuzione del patrimonio del danneggiato;
lucro cessante, ovverosia il guadagno che il danneggiato avrebbe presumibilmente conseguito ma che, invece, non ha conseguito.
Particolarmente delicato si presenta il problema della quantificazione del danno da lucro cessante conseguente a perdita o diminuzione – definitiva o temporanea – della capacità lavorativa e reddituale del danneggiato.
A tal fine, soccorre l’ art. 137 D. Lgs. n. 209/2005 (c.d. “Codice della assicurazioni private”), il cui comma 1 stabilisce – presuntivamente – che si fa riferimento al reddito di lavoro più elevato tra quelli degli ultimi tre anni. Con riguardo alle persone prive di un reddito di lavoro – o perché disoccupate, o perché in età non ancora lavorativa – il comma 3 del citato art. 137 prevede che il reddito che occorre considerare ai fini del risarcimento non può essere inferiore a tre volte l’ ammontare annuo della pensione sociale.
Un argomento delicato, e per così dire specifico, è il reddito futuro del giovane che, per la sua età, ancora non svolga attività lavorativa alcuna. Questo va determinato in base ad un criterio probabilistico, che tenga conto degli studi intrapresi e/o portati a termine, dell’ orientamento eventualmente manifestato verso una determinata attività redditizia, delle presumibili opportunità di lavoro che gli si presenteranno in relazione al prevedibile futuro mercato del lavoro.
Strettamente correlato è il concetto di perdita di chance e cioè una figura di danno, relativamente recente, di creazione puramente giurisprudenziale.
Per chance si intende una concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato bene della vita. Essa non è una situazione giuridica soggettiva né tantomeno una mera aspettativa di fatto, ma è un’ entità patrimoniale a sé stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione. In altri termini, la perdita di chance configura un’ autonoma voce di danno patrimoniale attuale, essendo una posta attiva già presente nel patrimonio del soggetto al verificarsi dell’ illecito e che va commisurato non alla perdita del risultato stesso ma alla perdita della possibilità di conseguirlo” (ex multis, Cass., Sent. n. 21245/2012).
Esempio di scuola: si pensi al soggetto che, il giorno prima di un importante concorso pubblico per cui si stava preparando da tempo, subisce un incidente che gli impedisce di partecipare.

Con riguardo al danno non patrimoniale, si distingue tra:
danno biologico, ovverosia la lesione temporanea o permanente all’ integrità psicofisica della persona, suscettibile di accertamento medico-legale, che esplica un’ incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito; se la menomazione dell’ integrità psico-fisica comporta anche una riduzione delle capacità reddituali del soggetto, questa dovrà essere risarcita autonomamente (cioè, in aggiunta al risarcimento del danno non patrimoniale), a titolo di lucro cessante;
danno morale, ovverosia una sofferenza interiore definita dagli psichiatri come una depressione sottosoglia, che si manifesta attraverso alterazioni della personalità del soggetto e del suo modo di essere consistenti, ad esempio, nel disinteresse per attività prima piacevoli, nella passività, nel maggiore affaticamento, nella chiusura in se stessi, in disturbi del sonno, interrogativi sul significato della vita, riduzione dell’ appetito ecc. ecc.
Menzione a parte merita, infine, il concetto di danno esistenziale, per tale intendendosi la compromissione della dimensione esistenziale della persona conseguente alla lesione dell’ integrità psicofisica; il danno esistenziale altro non è che la proiezione esteriore del danno biologico.
Sul piano risarcitorio, quindi, costituisce un’ inammissibile duplicazione di quest’ ultimo; ciò non toglie che il Giudice possa tenerne conto nella quantificazione dello stesso (c.d. “personalizzazione del danno non patrimoniale”).
Per quanto attiene alla quantificazione del danno non patrimoniale si tenga presente che:
– qualora si tratti di lesioni micropermanenti (fino al 9%) derivanti da sinistri stradali ovvero da medical malpractice, si applicano i criteri legali di cui all’ art. 139 D. Lgs. n. 209/2005;
– in qualsiasi altra ipotesi si fa riferimento ad apposite tabelle frutto di elaborazione giurisprudenziale; fra tutte, le più utilizzate sono quelle del Tribunale Ordinario di Milano.

Il nesso di causalità

Attuate le debite premesse sulle nozioni di “fatto doloso o colposo” e “danno ingiusto”, affinché sorga la responsabilità extracontrattuale, è necessario che tra i due concetti sussista un legame e cioè il nesso di causalità; in altre parole, per addossare ad un soggetto la responsabilità aquiliana occorre verificare che proprio quella sua specifica condotta antigiuridica sia la causa dell’ evento dannoso.
Attenzione, ogni evento dannoso è normalmente il risultato di una pluralità di concause (se Tizio, che è solito recarsi al lavoro in treno, oggi usa la sua autovetture perché vi è sciopero dei ferrovieri; se non fa la strada più breve perché passa a prendere un collega che gli ha chiesto un passaggio; se, sulla strada che lo conduce a casa di tale collega, è coinvolto in un tamponamento in cui riporta un colpo di frusta; se l’ ambulanza che lo trasporta all’ ospedale viene travolta da un bilico e Tizio muore; è evidente che l’ evento morte è il risultato del concorso di tutte le circostanze appena ricordate: se anche una sola fosse mancata, l’ evento morte non si sarebbe verificato).

Dal punto di vista naturalistico, dunque, possono ritenersi “causa” di un determinato evento dannoso tutte quelle condotte senza il cui concorso lo stesso evento non si sarebbe verificato o, come si suol dire, tutte quelle condotte che costituiscono condicio sine qua non per il verificarsi dello stesso evento (c.d. “causalità materiale”); tuttavia, seguendo questo principio si arriverebbe a conclusioni estreme secondo cui, nell’ esempio fatto, si potrebbe ravvisare, per assurdo, una responsabilità dei ferrovieri che hanno scioperato.
Così è nato, tramite la giurisprudenza, il criterio della “causalità adeguata”, secondo cui una data condotta si considera causa, in senso giuridico, di un determinato evento dannoso se, sulla base di un giudizio ex ante, detto evento ne risultava la conseguenza prevedibile ed evitabile.

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A chiusura una riflessione sull’ onere della prova: in tema di responsabilità extracontrattuale, chi pretende il risarcimento deve dimostrare il fatto doloso o colposo, il danno ingiusto ed il nesso di causalità. Viceversa, in materia di responsabilità contrattuale, il creditore deve dimostrare l’esistenza dell’ obbligazione e l’ oggettivo inadempimento del debitore; per contro, quest’ ultimo ha l’ onere di provare che l’ inadempimento è derivato da causa a lui non imputabile (art. 1218 c.c.).

L’ attualità ci sta offrendo, purtroppo, degli esempi di “causa a lui non imputabile” per scelta di Legge e cioè per effetto della normativa emergenziale in materia di COVID-19.
Il D. L. n. 6/2020, ab origine, prevedeva che il rispetto delle misure di contenimento dell’ emergenza epidemiologica fosse sempre valutato ai fini dell’ esclusione, ex art. 1218 c.c., della responsabilità del debitore.