MATERIALE  PEDOPORNOGRAFICO  –  DIFFUSIONE –  CAUTELE

La norma

Ai sensi dell’art. 600 ter c.p., comma 1: “È punito con la reclusione da sei a dodici anni e con la multa da euro 24.000 a euro 240.000 chiunque:

  1.  utilizzando minori di anni diciotto, realizza esibizioni o spettacoli pornografici  ovvero produce materiale pornografico;
  2. recluta o induce minori di anni diciotto a partecipare a esibizioni o spettacoli pornografici ovvero dai suddetti spettacoli trae altrimenti profitto.”

Il caso

Un sacerdote viene condannato per il reato di pornografia minorile continuata, perché, utilizzando minori di anni 18, aveva realizzato e prodotto materiale pornografico, o comunque aveva indotto minori di anni 18 a partecipare ad esibizioni pornografiche, con le aggravanti di aver commesso i fatti in danno di minori e con l’abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alla qualità di ministro di culto.

Il ricorso per cassazione proposto dai difensori dell’imputato, lamenta la non  corretta applicazione dell’art. 600-ter c.p: poiché le foto rinvenute sul computer dell’imputato non erano destinate alla pubblica fruizione, ma erano state conservate per il solo soddisfacimento dei propri istinti sessuali non può ritenersi integrato il reato punito dal citato articolo. Essendo necessaria la potenziale diffusione del materiale per la configurabilità del reato in questione, sarebbe stato necessario accertare se il comportamento dell’autore del reato fosse stato idoneo a creare un fenomeno diffusivo o fosse limitato a costituire il malsano hobby di un singolo individuo.

La giurisprudenza precedente

L’assunto difensivo si basa sulla  costante interpretazione giurisprudenziale  della norma di cui all’art. 600-ter, introdotta ad opera della legge 3 agosto 1998 n. 269, per la quale era   necessario l’accertamento del pericolo della diffusione del materiale pedopornografico.

Caposaldo di tale orientamento è la sentenza della Cassazione, Sezioni unite, del 31 maggio 2000, n. 13, con la quale gli Ermellini avevano ritenuto che l’art. 600-ter c.p. integrasse un  reato di pericolo concreto, e che dunque  lo stesso fosse sussistente allorché la condotta dell’agente che sfrutta il minore per fini pornografici abbia una consistenza tale da implicare concreto pericolo di diffusione del materiale pornografico prodotto. In quella occasione la massima ufficiale recitava: “Poiché il delitto di pornografia minorile di cui al comma 1 dell’art. 600 ter c.p. – mediante il quale l’ordinamento appresta una tutela penale anticipata della libertà sessuale del minore, reprimendo quei comportamenti prodromici che, anche se non necessariamente a fine di lucro, ne mettono a repentaglio il libero sviluppo personale con la mercificazione del suo corpo e l’immissione nel circuito perverso della pedofilia – ha natura di reato di pericolo concreto, la condotta di chi impieghi uno o più minori per produrre spettacoli o materiali pornografici è punibile, salvo l’ipotizzabilità di altri reati, quando abbia una consistenza tale da implicare concreto pericolo di diffusione del materiale prodotto”.

E’ solo in tempi recentissimi che inizia a farsi strada l’idea che, non solo non sia richiesto il pericolo di diffusione, ma che i reati di pedopornografia, nel colpire comportamenti anche prodromici, siano  ascrivibili alla categoria dei reati di danno e non di pericolo.

La sezione assegnataria del ricorso, ha ritenuto, con ordinanza del 30 novembre 2017, depositata il 25 febbraio 2018, che fosse indispensabile un intervento delle Sezioni Unite per vedere affrontata la questione: “Se, ai fini dell’integrazione del reato di cui all’art. 600 ter, comma 1, n. 1, c.p., con riferimento alla condotta di produzione del materiale pedopornografico, sia ancora necessario, stante la formulazione introdotta dalla Legge 6 febbraio 2006, n. 38, l’accertamento del pericolo di diffusione del suddetto materiale, come richiesto dalla sentenza a Sezioni unite 31/5/2000 (dep. 5/7/2000), n. 13, confermata dalla giurisprudenza anche dopo la modifica normativa citata”

La decisione delle Sezioni Unite

Le Sezioni Unite, dopo avere operato  una ricostruzione dell’evoluzione normativa e giurisprudenziale, hanno ritenuto che l’interpretazione proposta dall’orientamento largamente dominante, nel senso della necessità del requisito del pericolo di diffusione del materiale pedopornografico, dovesse ritenersi superata dall’evoluzione normativa e tecnologica.

La sentenza del 2000 rispondeva all’esigenza di evitare di trattare con eccessivo rigore sanzionatorio situazioni oggettivamente diverse:  quando la produzione del materiale pedopornografico era destinata ad una fruizione meramente privata, da parte dello stesso soggetto che aveva realizzato il materiale, erano ricondotti all’ambito di applicazione dell’art. 600 quater c.p. ,meno rigoroso sul piano sanzionatorio.

In conclusione : il requisito del pericolo concreto di diffusione del materiale era  un criterio interpretativo  nel  2000, ma oggi è anacronistico; pertanto la sentenza della Cassazione Penale, Sezioni Unite, 15 novembre 2018 n. 51815 nell’esaminare la definizione di “pornografia minorile” come fatto riferito ad ogni rappresentazione, con qualunque mezzo, di un minore degli anni diciotto coinvolto in attività sessuali esplicite, reali o simulate, o qualunque rappresentazione degli organi sessuali di un minore di anni diciotto per scopi sessuali, osserva l’irrilevanza del pericolo di diffusione ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 600 ter c.p.

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Tale chiave di lettura diviene così maggiormente coerente con il dato letterale e meglio si armonizza con il successivo art. 600 quater c.p. Entrambe le fattispecie si riferiscono , infatti, al materiale pornografico realizzato utilizzando minori di anni diciotto, ma la prima delle due incrimina la produzione di detto materiale equiparandola alla realizzazione di esibizioni o spettacoli pornografici (comma 1, n. 1), mentre la seconda incrimina il procurarsi o detenere il materiale in questione.

In conclusione, le Sezioni Unite modificando l’orientamento espresso nel 2000, si esprimono oggi con  il seguente principio di diritto: “Ai fini dell’integrazione del reato di cui all’art. 600 ter, comma 1, n. 1), c.p., con riferimento alla condotta di produzione di materiale pedopornografico, non è più necessario, …omissis…, l’accertamento del pericolo di diffusione del suddetto materiale”.

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Alla luce di quanto vergato dalle Sezioni Unite, appare evidente la stringente necessità di tutelarsi in caso di ricevimento “involontario” di materiale pedopornografico;  il consiglio è quello di segnalare il fatto alla Hotline “Stop-It” di Save the Children come indicato dalle Linee di Orientamento per la prevenzione e il contrasto del Cyberbullismo del Miur; tali segnalazioni sono poi trasmesse al Centro Nazionale per il Contrasto alla pedopornografia su Internet, istituito presso la Polizia Postale e delle Comunicazioni.

Quindi nel caso in cui si ricevano messaggi di posta elettronica contenenti immagini pedo-pornografiche o allusioni all’adescamento di minori è importante non cancellare l’e-mail, contattare con urgenza gli uffici della Polizia Postale e delle Comunicazioni della propria provincia, preferibilmente per telefono in modo da consentire agli operatori di svolgere accertamenti in tempo reale,  solo dopo il benestare  della Polizia Postale cancellare l’e-mail ;  se per altri  motivi bisogna necessariamente cancellare l’e-mail, prima di procedere alla sua rimozione è bene salvare il testo, l’eventuale allegato e l’header (intestazione) del messaggio di posta elettronica su un supporto esterno.