LA RESPONSABILITÀ DEGLI INSEGNANTI, sotto il profilo civile

Ogni insegnante si sarà chiesto, sicuramente, almeno una volta: cosa succederebbe se un mio alunno si facesse male, o , se invece provocasse un danno? Cambierebbe qualcosa se il fatto accade durante la ricreazione, oppure, se lo stesso alunno è maggiorenne?

Offriamo alcuni elementi di riflessione.

Al fine di una giusta disamina non si deve dimenticare che il nostro Ordinamento prevede due regimi di responsabilità: contrattuale ed extracontrattuale; tale binomio determina, in particolare,  differenti oneri probatori e per quanto riguarda l’argomento di cui si tratta si può affermare che sussiste una sorta di oscillazione sui principi da applicare, a seconda di come si sviluppa in concreto “un fatto”.

Tenuta ben presente tale introduzione, il principio generale è ravvisabile nell’art. 2048 c.c. ove al secondo comma si stabilisce che “precettori e coloro che insegnano un mestiere o un’arte sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei loro allievi e apprendisti nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza.

É un precetto applicabile a tutti gli insegnanti, pubblici e privati, di ogni stato e grado, ovvero a tutti coloro che insegnano un mestiere, una professione o un’arte; siamo di fronte ad una responsabilità per fatto altrui, quindi gli insegnanti hanno un obbligo di vigilanza verso i loro alunni e vige una presunzione di colpa.

Questo significa che si addebita una responsabilità in culpa per vigilando, salvo si riesca a dimostrare la non prevedibilità dell’accaduto, ovvero di non aver potuto impedire il fatto illecito.

Schematizziamo ora alcune ipotesi, ove appunto sussiste una certa commistione tra le due categorie di responsabilità: 1) danni semplicemente subiti dallo stesso alunno; 2) danni provocati dall’alunno su se stesso; 3)  danni generati dall’alunno a terzi. Ebbene:

nel primo caso, la giurisprudenza maggioritaria sostiene che si tratti di un responsabilità contrattuale,; per cui gli insegnanti sono soggetti ai principi dell’art. 1218 c.c. e l’alunno, nel dimostrare di aver subito un danno, “in automatico”,  ha diritto ad un risarcimento;

nel secondo caso,  la giurisprudenza è altalenante ; al momento prevale la linea della responsabilità contrattuale,  in virtù del contatto sociale sussistente ab origine tra un alunno ed  un insegnante e quindi anche in questa ipotesi “vale ed è sufficiente” solo dimostrare il danno;

nel terzo caso, ovvero nel caso di danni provocati dall’alunno su altri alunni, si applica il regime della responsabilità extracontrattuale, pertanto il danneggiato ha l’onere di dimostrare, oltre all’esistenza del danno, il nesso causale tra il danno e l’evento, ove quest’ultimo deve risultare decisivo in stretta correlazione con la mancata vigilanza.

E ovvio che tali principi valgono per colui che agisce, fatta salva sempre e comunque la possibilità dell’insegnante di dimostrare il contrario.

Vediamo ora l’incidenza di due situazioni specifiche: alunni “maggiorenni” e  fatti avvenuti durante la “ricreazione”.

A) per gli alunni maggiorenni, una recente sentenza della Cassazione, sez. III n.2334/2018 non offre rilievo al dato anagrafico, “poiché la maggiore età non significa che il soggetto cessi di essere allievo o apprendista, ovvero cessi di essere sottoposto a quella vigilanza che, logicamente, è teleologica, ovvero necessaria per l’attività di insegnamento / addestramento cui si riferisce l’articolo 2048, secondo comma”. Tuttavia, alla luce di casi concreti, siamo portati sostenere che la maggior età in verità determini certamente un affievolimento del grado di responsabilità dell’insegnante, sino anche alla totale esclusione;

B) ricreazione, la giurisprudenza è costante nel ritenere configurata l’ipotesi di colpa grave, poiché in tale circostanza è prevedibile una maggiore vivacità degli alunni e quindi un aumento dei rischi di eventi dannosi .Altrettanto dicasi per gite o viaggi d’istruzione.

A fronte di quanto esposto è bene subito soggiungere che legittimati in sede processuale sono: il Ministero ed l’istituzione scolastica (preside o direttore scolastico); quindi il danneggiato contesta il comportamento dell’insegnante,ma non agisce direttamente contro lo stesso.

Tale situazione permette concludere che il docente resterebbe comunque  indenne? La risposta è negativa; ovvero in caso di condanna, l’amministrazione può innestare un’azione di rivalsa, circostanza che però secondo Legge si può concretizzare solo quando nell’omessa vigilanza sia riconosciuta la colpa grave o il dolo. A chiusura di tale concetto si sottolinea che la culpa in vigilando è qualificata come colpa (lieve) per cui non sarà azionabile la detta rivalsa. Quale riferimento normativo vedasi la L. 312/1980, in particolare l’art.61).

Bene precisare che la detta normativa ( rivalsa) non vale solo per i docenti  insegnanti ma anche per tutto il diverso personale,di qualunque grado, che opera in un istituto scolastico.

Discorso del tutto autonomo e distinto: la responsabilità penale è personale (art. 27 Cost.). Offriamo un caso specifico utile per comprendere come in base a certe specifiche circostanze le conclusioni non siano scontate: due bambini litigano e si contendono la merenda, durante la ricreazione! Uno per “tenersela” tira con forza e con il gomito colpisce al volto una terza compagna che gli era alle spalle; la bambina riporta una prognosi di giorni 35. Sviluppato il processo, il Tribunale di primo grado condanna l’insegnante per il reato di lesioni colpose per omessa vigilanza; la condanna viene poi confermata in sede di gravame . La Suprema Corte, invece, assolve l’insegnante ed esprime la seguente massima: per considerare provata la responsabilità dell’insegnante sarebbe stato necessario dimostrare che, se l’insegnante fosse stata vigile in quel preciso momento, avrebbe potuto impedire l’evento dannoso; ma così non è nel caso in esame, in quanto l’evento è stato talmente imprevedibile e repentino, non modificabile dalla presenza dell’insegnante  (così Cass. Pen. sez. IV Sent. 21056/2014).